giovedì 3 gennaio 2013

Ritornare al concreto — gli eccessi della società contemporanea e l’equilibrio della società d’un tempo

Apriamo il 2013, dopo un relativamente lungo periodo di pausa, con questo articoletto. Con tanto gradiamo augurarvi un anno positivo, che serbi felici sorprese e che voglia confermarvi nella Fede e nel valore. Sia un anno all’insegna della lotta contro il male che pervade la società e contro il peccato che risiede in noi stessi. Approfittiamo anche per scusarci di non avervi destinato gli auguri pelle festività natalizie, ripariamo sperando che queste siano state, per voi, tempo di preghiera e d’ottenimento di grazie. In Gesú e Maria, i camerati del cuib san Bernardo.

Un popolo che lavora la terra è piú vicino al Cielo! 

Le parole di sottotitolo sono state pronunciate da Roberto Fiore, in tempi relativamente recenti. Mi sono rimaste impresse, in quanto esplicitavano sinteticamente un pensiero formatosi nella mia mente da tempo.

Effettivamente è da notarsi come la totalità delle persone individui, come principale mutamento rispetto alla vita «dei nostri nonni», il distaccamento dal lavoro della terra… e come i nostri nonni fossero infinitamente piú vicini al Cielo di noi.

Un secolo fa la vita era segnata da un continuo entrare in rapporto colla realtà circostante: si sfruttavano le possibilità del terreno e l’aiuto degli animali, onde potersi garantire un certo grado d’autosufficienza, e si conduceva una vita «di paese», coltivando i rapporti coi propri vicini. A primo acchitto parrà che questo stile di vita fosse stato adottato per necessità, ed è anche vero; cionnonostante, distaccandoci da tale «necessità», ci hanno distaccati dal salubre vivere a cui siamo stati destinati.

Dice il Signore, nella Genesi (IV, 19): «Mediante il sudore della tua faccia mangerai il tuo pane, fino a tanto che tu ritorni alla terra, dalla quale sei stato tratto: perocché tu sei polvere, ed in polvere ritornerai.».
Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris: l’uomo, mutando il proprio stile di vita, ha anzitutto dimenticato la propria miserabilità e s’è convinto di potere tutto, d’essere il centro, il fulcro della realtà; pensando di non dover piú agire in armonia colla natura e colle leggi che la regolano, bensí illudendosi di poter piegare il creato a suo piacimento (e, quindi, di non aver bisogno di Legislatore alcuno né di rapportarsi con una dimensione di cui crede d’essere il padrone), è stato, in un certo senso, travolto da un delirio d’onnipotenza. Da qui le spinte ricerche (piú o meno) scientifiche, dimentiche d’ogni principio etico; il disconoscimento della Verità oggettiva e superiore all’uomo, colla conseguenziale caduta nel caos relativista; il trionfo dell’egoismo e dell’egocentrismo.
«Simpatico» è accorgersi di come, per elevarsi — in imitazione d’un memorabile non serviam — l’uomo sia finito a disprezzarsi, come anche capitò al «maestro» ribelle. Non v’è piú alto valore, pell’uomo, che quello che guadagna seguendo il volere di Dio: per negare ciò, egli ha cominciato ad equipararsi agli animali; a negare la dignità della sua vita, aprendo la strada ad eugenetica, aborto, eutanasia, ecc.; a giustificare ogni proprio difetto, piuttosto che cercare di perfezionarsi in virtú e santità.
La realtà attuale, per tanto, somiglia sfacciatamente a quanto gl’illuministi, a loro tempo, tentavano d’insidiare nei cuori. Non è forse, parimenti, un’affannosa persecuzione del «progresso» e dell’«uguaglianza», quella che anima i nostri tempi? L’ennesima riprova di come la trama storica non sia fatta di eventi a sé stanti e casualmente conseguenziali, bensí è il riflesso della battaglia tra Dio ed il demonio: sono sempre gli stessi princípi a causare e muovere i fenomeni storico-politici.

Ancora l’uomo, slegandosi dalla terra, s’è «alienato», non avendo piú la possibilità di mirare l’armoniosità del creato. Molti santi ebbero a dire che, dalle cose create, si mostra l’immensità del Creatore: se il lavoro della terra ed il rapporto colla natura poneva l’uomo in perenne contemplazione, la società contemporanea ci fa disprezzare tale condizione… tant’è vero che i giovani d’oggi cercano tutti d’imporsi quali lavoratori d’ufficio, medici, liberi professionisti ecc… e coloro i quali ancora lavorano colle coltivazioni o gli allevamenti sono visti come degl’infimi. Inoltre la vita s’è fatta affannosa, asfissiante e devastante… succhia tutto lo slancio vitale, non lasciandone affatto, affinché l’uomo non consideri la natura ed il Padre di tutte le cose.
Egli, oggi, (e non l’uomo di oggi, quasi come se la sua natura mutasse, col passare del tempo) vive in una dimensione «virtuale», in una frenesia anormale, che illude di poter fare e realizzare cose che, nella realtà, non sono d’umana portata. Ciò distorce la sua psiche e la lega a desiderî irrealizzabili, passioni corrotte e visioni distorte della realtà. [Questo non vuol essere una condanna alla tennologia in sé, né alle conquiste, ma all’abituale abuso che se ne fa e che si costringe tutti a fare.]

L’allontanamento dalla terra e, piú in generale, dal sistema «dei nostri nonni ed avi», spinge alla «delegittimazione» della sana dottrina in materia d’amministrazione\ordinamento societario, dando spazio a teorie fondamentalmente erronee; il lavorare la terra, specialmente quello che si faceva a «dimensione familiare», incentivando la collaborazione tra famiglie e rendendo i legami «intra muros» tanto forti da risultare indispensabili, costituiva, implicitamente, un’ottima scuola filosofico-politica. Tutto era un reciproco aiutarsi, al fine di poter tutti conseguire delle condizioni di vita accettabili; il bisogno l’uno dell’altro era il fondamento della società, scoraggiava l’adozione di atteggiamenti problematici ed alimentava una sana vita sociale. Questo era un sistema solido: l’uomo aveva il suo giusto posto e le famiglie erano l’elemento basilare, realtà «sacre» e forti. Ovviamente ogni fatto umano ha le sue imperfezioni, ma è innegabile che la società d’un tempo avesse le giuste basi filosofiche.
Oggi s’oscilla tra individualismo (spesso invigorito da sentimenti d’invidia, disprezzo, odio, malvagità) e stato(istituzioni)latria; soventemente vediamo gli uomini costretti a sofferenze e condizioni inaccettabili, pur di salvare stati, banche ed istituzioni di sorta, quando, piuttosto, le istituzioni dovrebbero essere al servizio degli uomini stessi.

Il nuovo stile di vita, inoltre, porta disordini a livello fisico, i quali causano confusioni umorali e, piú generalmente, emotive o razionali… tant’è che l’uomo è spesso spinto a cercare d’emulare l’ambiente in cui viveva un secolo fa, o fuggire in piccole «oasi».

I ritmi del nuovo andazzo sono sgangherati e deformi e, l’essere umano, pur avendo drasticamente ridotto i tempi necessari all’ottenimento di beni utili, non può che vivere i tanti tempi morti con altrettanta ansietà, quasi come preso da una sorta d’agitazione od iperattività… le vanità si trasformano in bisogni, e non piú vale il detto chi s’accontenta gode, bensí questo pare un insulto all’insaziabilità umana, quasi come quest’ultima rappresentasse un valore aggiunto, un «salto di qualità» verso una «nuova umanità».
La vita degli avi era caratterizzata da un tranquillo equilibrio e da un confortante realismo; invece, al giorno d’oggi, l’uomo si fa sempre piú fragile, non sopportando piú alcuna sofferenza né reggendo alcuno sforzo, ed appare chiaro come questa fragilità lo costringa irrimediabilmente ad un’avvilente sofferenza, in quanto egli persegue obiettivi irragiungibili.

In ultimo, il cambiamento, a livello societario, mette in grave rischio la serenità dei popoli, in quanto non ci si cura piú di garantire l’autosufficienza, bensí si «rimedia» alle mancanze causate da tale errore appoggiandosi su situazioni esterne, le quali certo possono venire a mancare. Obiettivo delle società non è piú procacciarsi una sicurezza, un’autonomia, bensí dar adito e sequela all’ossessione progressista… ed è a motivo di ciò che la situazione dei consorzi umani è perennemente instabile, si gongola tra crisi e rinascite, accecata da una continua sensazione di dinamismo.

In sintesi, non può restaurarsi una sana realtà se non si placa la bramosia di progresso, non s’estirpa dagli animi questo cancro. Bisogna distaccare i cuori da queste fantasie, affinché gli uomini siano nuovamente animati da un pensiero sano e naturale. Il reale fondamento d’un sistema stabile e confortevole è l’accorgersi delle proprie «dimensioni» e l’imparare ad accettarle ed amarle, allontanando da sé insalubri ambizioni d’innalzamento… o, per meglio dire, eccesso.