giovedì 19 aprile 2012

Intervista a Freda - osservazioni

- Data l'insistenza di uno dei nostri collaboratori, abbiamo deciso di copiare l'intervista che il sig. Freda ha dato pella testata giornalistica "Libero"; condividiamo la contestazione verso la riprovevole condotta della spettacolarizzazione delle stragi e condividiamo il biasimare gente che vorrebbe svelare verità (presunte o reali che siano) su uno dei più oscuri episodi degl'ultimi tempi della storia italiana e trarne profitto. Nonostante ciò, riteniamo dovuto precisare che non condividiamo molti aspetti dell'ideologia del Freda. -




Franco Freda è uno dei personaggi chiave del film di Marco Tullio Giordana, “Romanzo di una strage”, in cui è interpretato da Giorgio Marchesi. Gli abbiamo chiesto, tramite scambio di e-mail, di esprimere il suo pensiero sul film e su alcune dichiarazioni del regista.

Andrà a vedere il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage?

  • Non vado al cinema. I romanzi preferisco viverli. Ho incontrato negli anni personaggi straordinari, nel bene e nel male, ho conosciuto il gioco del destino, che, anche spietato, ha sempre una sua grazia e grandezza e certo non è mai un moralista, sono inciampato in situazioni rocambolesche, da venturiero: quello è il mio romanzo. Ma ho l’impressione che nel film di Giordana non ce ne sia traccia.

Ha letto sui giornali qualche articolo riguardo al film? E’ curioso di vedere come l’hanno rappresentata?

  • Nessuna curiosità. Mi sottraggo così all’insolenza, con l’indifferenza. Però ho notato i toni sguaiati da Wanne Marchi che sono stati usati per la propaganda del film. Se si volesse parlarne con onestà, occorrerebbe dire che Piazza Fontana è un mistero. Invece Giordana e i suoi hanno fatto di tutto pur di addomesticare il mistero, ridurlo, adattarlo. Non allo schermo, ma alle loro dimensioni. Occorrevano un Sofocle, un Euripide e davvero allora il mistero avrebbe trovato le sue parole.

Che cosa pensa dell’idea di raccontare quei fatti in un film?

  • Che prima occorrerebbero i fatti. E’ dai foschi anni ‘70 che abbiamo solo interpretazioni. Oh, tutte quante interessantissime: perché rivelano il temperamento e il valore di chi le ha concepite.






Il regista (o collaboratori del regista) ha mai cercato di contattarla per farle domande o ottenere documentazione?


  • Mi hanno contattato, ma non per farmi domande. Hanno cercato di convincermi dei vantaggi commerciali che avrei avuto se li avessi autorizzati a esporre, in una scena del film, il volume del Mein Kampf da me curato due anni fa per le Edizioni di Ar. Vede: è la stessa questione delle interpretazioni. Loro sono dei posseduti dall’ideologia (o dalla fame?) del denaro, mentre io, nel ’69, nel mio scritto “La disintegrazione del sistema”, miravo a un comunismo platonico che abbattesse la proprietà privata. Per questa rivoluzione castrense, francescana, avevo pensato addirittura di arruolare anche i compagni.

Nel film il suo personaggio è piuttosto sulfureo e su di esso si allunga più di un’ombra. In particolare, in un scena si racconta che (riprendo dal comunicato di Giordana) “poco prima della strage, Freda aveva acquistato 50 timer uguali a quello utilizzato alla Banca dell’Agricoltura”. Di fronte a questa affermazione degli inquirenti, il suo personaggio risponde che servivano per un’altra causa. Corrisponde al vero?

  • Corrisponde alle mie dichiarazioni processuali. Ricordo con nostalgia il capitano Hamid, il destinatario dei cinquanta timer: gli ho intitolato una collezione delle Edizioni di Ar.

Alla fine del film, e nelle note del regista, si legge: “Freda e Ventura, prima condannati e poi assolti per insufficienza di prove, sono stati infinericonosciuti colpevoli dalla Suprema Corte di Cassazione, ma non più
‘giudicabili’”. E’ così?

  • Il guitto Giordana può ripetere ciò che vuole. Non è così: semplicemente, così pare a loro. Ma queste sono vendette ideologiche che non possono proprio essere prese in considerazione, altrimenti è la fine dell’etica giuridica e del suo principio cardinale: che nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. La mia responsabilità penale per Piazza Fontana è stata esclusa: c’è una sentenza di assoluzione della cassazione. E adesso si oppone una seconda sentenza della cassazione? Ma che dignità può avere? La cassazione avrebbe cassato sé stessa? Che rispetto di sé!

Giordana si ispira dichiaratamente alla celebre frase di Pasolini “Io so. Ma non ho le prove”. Precisando poi: “Oggi, passati più di quarant’anni, queste prove sono finalmente accessibili, a disposizione di chiunque voglia davvero sapere”. Che ne pensa?

  • Penso che i miei avversari ideologici d’antan, dopo lungo ruminare, abbiano fatto pressoché tutti fini pessime, da sfigati. Quella di Pasolini è nota. Oggi è nota pure quella del giudice D’Ambrosio, che dopo essersi dato alla politichina si è messo a gnaulare a mezzo stampa perché Giordana e i suoi non l’hanno – e qui ci sarebbe da usare un verbo un po’ triviale, ma non lo facciamo – badato, nell’allestimento del film. E io che lo consideravo un avversario di rango! Hanno ragione i giapponesi che danno solo le medaglie post mortem. Insieme ad Alessandrini, D’Ambrosio aveva scommesso con me e Ventura che se fossimo stati assolti ci avrebbe offerto una cena. Ma mi è scaduto, quindi non gli ho ricordato il suo obbligo. O dovere – se si trattasse di uomo d’onore? Casso dalla memoria anche quello.

Il film sostiene un’ipotesi suggestiva. Che in piazza Fontana furono piazzate due bombe da “ambienti” e “poteri” diversi. Forse anarchici da una parte e “neonazisti” manovrati da chissà chi dall’altra. Le sembra credibile?

  • 12-12-‘69: Odissea nello spazio?...

Lei ha mai avuto a che fare con il commissario Calabresi?

  • No.

Che cosa pensa dell’assassinio di Calabresi e di ciò che scrissero i giornali di sinistra prima che avvenisse?

  • Penso che molti intellettuali di sinistra, allora come oggi, scrivessero intingendo la penna nell’inchiostro del risentimento. Non si facevano problemi a sacrificare un uomo alla propria furia. Erano bestie sanguinarie, agili, abilissime: al punto da sembrare filantropi.

Scrive Giordana a proposito dell’omicidio di Calabresi: “L’azione non sarà mai rivendicata. Vendetta del proletariato? Ritorsione neo-nazista? Operazione sotto copertura dei servizi segreti?” Lei che ne pensa? 

  • Che mi fa venire il mal di testa.

Esistevano “legami tra estremisti veneti e oscure forze organizzate per contrastare, in caso di guerra, un’eventuale occupazione sovietica”? Se ne parla sempre nel comunicato di presentazione del film, dove si racconta che Calabresi, continuando a indagare, era “incappato nella rete Stay Behind”.

  • Ma io vivo ad Avellino, nella piazza intitolata alla rivoluzione dei carbonari, alla primavera dei popoli: cosa vuole che sappia di queste cose? Mi interesso della carboneria irpina del XIX sec, non della massoneria italiana del XX. Al massimo dell’operazione Alzo Zero, o Karstquelle...





Esisteva un “rapporto tra eversione e Stato”? O fra “eversione” (immagino che questa parola si riferisca anche a lei) e servizi segreti, Nato eccetera? 

  • Le Badolliotruppen?... Per carità! Nel ’68-’69 io volevo fare la rivoluzione, non un golpe militaresco. Volevo il caos, il nichilismo, non il potere sugli italioti. Neanche se si mettessero in ginocchio vorrei governarli. Ricordiamoci di cosa diceva il Duce: “Governare gli italiani non è impossibile: è inutile.”

Chi ha messo la bomba a piazza Fontana?

  • Dopo quarant’anni un’Amministrazione di settanta milioni di abitanti, con polizia, magistrati, minustrati, pennaioli, cinematografari, guitti delle lettere e della politica, pone a me questa domanda?

In ogni caso, qual è la sua versione dei fatti?

  • La mia avversione ai fatti così come vengono rappresentati è contenuta in un libello delle Edizioni di Ar che abbiamo stampato nel 2005. Si intitola “Piazza Fontana: una vendetta ideologica”, ed è un suggerimento a interpretare la vicenda in ottica nietzscheana e disincantata.

Perché a suo parere non si è ancora fatta chiarezza sui fatti di cui sopra?

  • Ho l’impressione che ci sia in giro uno straordinario difetto di intelligenza e di buon gusto. A Paolo Cucchiarelli, che pretendeva di sapere cosa ne pensassi del suo libro, la matrice del film, ho mandato a dire una cosa del genere: che l’umano non è quasi mai geometrico e sistematico e occorrono dita sottilissime, attente, e soprattutto dotate di una certa grazia benevola per districare i suoi fili. La verità è forse il premio di chi sappia essere più umano, in questo senso, e meno mondano. Certo dev’essere cosa lievissima, la verità, preziosissima, che non si darà mai all’iroso, al fazioso, all’ambizioso, all’inquisitore ‘lurco’ che le muova incontro agitando i pugni.

                                                                        da Libero

Contributo inviatoci: - Maria nell'arte: Paul Marie Verlaine e la figura della Vergine Maria - di J. M.


Paul Marie Verlaine nasce a Metz il 30 marzo del 1844.
La sua famiglia apparteneva alla piccola borghesia: il padre, era capitano nell'esercito.
Più che seguire gli studi di legge, ai quali era stato avviato, frequentò i circoli letterari e parnassiani.
Si diede ben presto ad una vita disordinata alla quale alternava qualche periodo di regolarità. 
Nel 1871, lascia la moglie e il figlio e si lega in un turbinoso ed equivoco rapporto col giovane poeta
Arthur Rimbaud col quale viaggiò per l’Europa. In uno dei tanti tentativi di allontanarsi da lui e
terminare la relazione, in preda all’alcol lo ferisce con una pistola e viene arrestato. Nel silenzio
della prigione Verlaine avvertì tutta la vergogna della sua vita, e si convertì, deciso a far riemergere
il fuoco del suo battesimo dal "mucchio di cenere" del suo passato. Per un certo tempo restò fedele
agli impegni della conversione, ma, le vecchie abitudini, lo travolsero ben presto, e finì per
rassegnarsi alla sua degradazione. Prima di morire, il 7 gennaio del 1896, fece chiamare un
confessore per ricevere il sacramento della riconciliazione, il giorno seguente, prematuramente
consumatosi, muore a Parigi a soli 52 anni.

Ci troviamo a trattare il periodo storico-letterario che va dal Parnassianesimo francese e dal
Preraffaelismo inglese al Simbolismo europeo. La poesia non significa più il mondo ma è il mondo.
Dunque non vuole più avere un contenuto semantico, rappresentativo, referenziale, ma tende a
sciogliersi in musica cioè in vera e propria arte.
Paul Verlaine rientra nel momento in cui, dopo la dissoluzione della tendenza parnassiana si andava
coagulando il Simbolismo. Considerato uno dei maestri della suddetta corrente letteraria e “poeta
maledetto”, è tra i più grandi dell’Ottocento francese, soprattutto per la semplicità delle sue liriche
nelle quali traspare, attraverso versi pregni di risonanze ed armonia, l’anima di un fanciullo che
contempla il mondo e ne canta le bellezze e le miserie.

Ma anche Verlaine, da poeta maledetto che era, ha avuto il suo "momento azzurro" nel quale ha
invocato la Mater pietatis.
«Quella tempesta che fu la mia vita», così ha scritto di sé, rimembrando tutte le tempeste di
avventure degradanti, d’incontri disordinati, di malattie fisiche e morali, ma anche di nostalgia di
redenzione e di sforzi per scuotersi di dosso il fango della devastante amicizia ambigua con Arthur
Rimbaud.
Nostalgico dei valori morali, delle virtù cristiane e della presenza di Dio nella sua vita, pubblica nel
1881 la raccolta di poesie intitolata “Sagesse” (Saggezza) che si apre con la prefazione dell’autore
che così scrive:

L’autore di questo libro non ha sempre pensato come oggi. Egli ha lungamente errato
nella corruzione contemporanea, prendendo la sua parte di colpa e d’ignoranza.
Dispiaceri molto meritati l’hanno dopo avvertito, e Dio gli ha fatto la grazia di
comprendere l’ammonimento. Egli si è prosternato davanti all’Altare lungamente
misconosciuto, adora la Bontà Infinita e invoca l'Onnipotente, figlio sottomesso della
Chiesa, l'ultimo nei meriti, ma pieno di buona volontà.
Il sentimento della sua debolezza e il ricordo delle sue cadute l’hanno guidato
nell'elaborazione di quest'opera che è il suo primo atto di fede pubblica dopo un lungo
silenzio letterario : non vi si troverà nulla, egli spera, di contrario a quella carità che
l'autore, ormai cristiano, deve ai peccatori di cui ha un tempo e quasi poc'anzi praticato
gli odiosi costumi.
Ci troviamo di fronte ad un autentico “proemio letterario” in cui è preponderante l'espressione
della conversione, con il rifiuto della vita passata, trascorsa nell'abiezione del vizio.
Interessante, però, è la seconda parte di questa raccolta poetica, in cui, il lettore si imbatte in una
splendida lirica alla Madonna che resta tra le cose più belle del poeta.
Ritrovata la fede della sua infanzia, il poeta si affida a Maria, e da sciagurato era consapevole di
aver sperperato “tutti i doni, la gloria del battesimo e l'infanzia cristiana essendosi perso in vili
moine fino all'ultima vigoria dello spirito”.
Convinto che solo Lei, l’Auxilium Christianorum può aiutarlo a procedere sui sentieri del bene e
della purezza, così scrive:
Voglio amare ormai solo Maria. Sono, gli altri, amori di precetto. Ma benché necessari,
mia madre soltanto Può accenderli nei cuori che l’amarono.
 
Solo per Lei ho cari i miei nemici, Per Lei ho promesso questo sacrificio, E la mitezza di
cuore e lo zelo al servizio, Fu Lei a concederli, a me che la pregavo.
 
E poi ch’ero debole ancora e malvagio, vili le mie mani Gli occhi abbacinati dalle strade,
Ella mi chinò gli occhi, mi giunse le mani E m’insegnò le parole che sanno adorare. 
Per Lei ho voluto queste mestizie, Per Lei il mio cuore è nelle Cinque Piaghe, D’ogni mio
sforzo buono verso croci e tormenti, Poi che La invocavo, Ella mi cinse i fianchi. 
Voglio ormai pensare solo a mia madre Maria, Sede della Saggezza, fonte di ogni
perdono, E Madre anche di Francia, poi che da Lei attendiamo Incrollabilmente l’onore
della patria. 
Maria Immacolata, amore essenziale, Logica della fede cordiale e vivace, Amando voi,
ogni bontà non è forse possibile, Amando voi, Soglia del cielo, unico amore?.
Sono versi questi, che ci fanno comprendere lo stato d’animo in cui si ritrova il poeta, che cerca in
ogni modo, di riprendere una vita regolare e pregna dell’amor di Dio.
C’è una racconto, probabilmente ispirato alla realtà, di Anatole France che ci narra del poeta
maledetto, capace di comporre "le più dolci canzoni del mondo", che viveva tra l’ospedale e una
stanzuccia di locanda, in un vecchio povero quartiere parigino.
Egli, abitualmente, tra tutte le viuzze per tornare a casa prendeva quella che «era secondo il suo
cuore, fiancheggiata di stamberghe e bugigattoli», unicamente perché «portava, sul cantone di una
casa, una Madonna dietro una grata, in una nicchia azzurra». Fa tenerezza questa immagine di Paul
Verlaine che ama una straduccia soltanto perché in essa era presente l’immagine di Maria
Santissima e, secondo la più nota delle esegesi critiche, il poeta, incamminandosi in quel vicoletto,
si sentiva in compagnia della Mamma Celeste, cercando da Lei, probabilmente, anche l’amore e
l’affetto che aveva ormai perduto da sua moglie e da suo figlio.



                                                                                  


lunedì 9 aprile 2012

Auguri, posticipati per riflettere


Anzitutto, il gruppo Proelium fa i suoi sentiti auguri - pella passata Pasqua - ai suoi lettori.
Ci si chiederebbe: perché un sito cattolico fa gli auguri in ritardo?
Il sito cattolico vi chiede: quale particolarità avrebbe avuto il consueto scritto con raccomandazione di partecipare alle funzioni pasquali? Chi di voi si sarebbe fermato a leggerlo?

L'intenzione è di proporvi una riflessione circa la Resurrezione, per poter fare un parallelismo con quanto auguriamo gl'italiani intraprendano. Meglio è parlare di Resurrezione, quand'essa è già avvenuta: il nostro augurio, di conseguenza, è anche poter, un giorno, parlare della resurrezione del popolo italiano, quand'essa sarà avvenuta.

La Resurrezione anzitutto fa della sofferenza un suo palese strumento. La Resurrezione - come espiazione, oltre che come vittoria della Vita - si serve della sofferenza.
In quanto Cristo è il Principe degli umili, è l'Umile, Egli abbraccia la Croce. Pur essendo Dio - ossia l'Altissimo -, Egli si sacrifica, con un'umiltà talmente grande da risultare incomprensibile; nella logica, si sacrificano le cose inferiori, per qualcosa di superiore.
La Resurrezione è già avvenuta, regna la Vita. Quanto è bene meditare la sofferenza quand'essa non c'è, quando essa è passata, non ci acceca! Meditare il Sacrificio significa meditare circa il prezzo della Gioia posseduta, comprenderne il valore.
La Pasqua è un invito alla Gioia, poiché il cammino pasquale non si ferma alla morte di Cristo: esso si compie colla Sua Resurrezione. Ecco che, per sbugiardare le voci anticattoliche che si levano a condanna di un "culto di sofferenza ed annientamento", si può rispondere: "Cristo è risorto!".

Meditare il Sacrificio, ora che "tutto è compiuto",  significa comprendere il valore della la salvezza donataci. Come possiamo noi rifiutare un tale dono?
L'uomo d'oggi lascia spingersi dal dazio del sacrificio a rifiutare la resurrezione, la salvezza. Rifiutare la Croce è l'atteggiamento proprio del demonio. Il demonio è principe del disordine, mano di distruzione, seme di discordia.
In quanto, all'inizio del nostro percorso, abbiamo deciso, con Proelium, di prendere posto nella battaglia trascendentale- pella restaurazione dell'uomo -, non possiamo evitare il parallelismo tra la Croce e le croci attuali del popolo italiano (il quale non è poi dissacrante, siccome perno principale della restaurazione dell'ordine è e rimane Cristo; Omnia instaurare in Christo). Similmente all'atteggiamento del distruttore (il demonio), anche il popolo italiano si sta facendo distruttore di sé stesso, poiché fugge la sofferenza, piuttosto che cercare la sua resurrezione.

Il Cattolico, durante la Quaresima, attende la festosità della Pasqua attraverso quaranta giorni di astinenze, digiuni e personali rinunce. Come grande gioia anima il giorno della Pasqua, quanta gioia animerà il giorno in cui il popolo italiano potrà dirsi veramente libero?

Noi sappiamo che la resurrezione del popolo italiano deve passare attraverso la restaurazione dell'ordine spirituale: infatti, l'uomo moderno è diventato debole, poiché è diventato insensibile, poiché sta perdendo le qualità proprie del suo essere umano.
Ognuno interroghi sé stesso: quanti han partecipato alla Messa della domenica delle palme, a quella di Pasqua, forse anche alla Via Crucis del Venerdì Santo, senza varcare il soglio di una chiesa in altro giorno dell'anno? Quanti sono stati presenti alla funzione, ma ciechi e sordi di sensi e di animo? Ecco, se Dio è Amore, ed Egli può tutto, come può l'uomo - sua immagine e somiglianza - pretendere di potere qualcosa rendendosi sale insipido, non avendo più sensibilità d'animo?
Poiché egli percepisce la spiritualità sempre più come una cosa non appartenentegli, egli si sta destinando alla degradazione, alla distruzione.
Dio manifesta il suo Amore mediante il Sacrificio del Figlio; parimenti l'uomo ritroverà il suo amore abbracciando la propria croce.

Ecco che, il sito cattolico, che fa gli auguri in ritardo, lo fa invitandovi ad assaporare il cammino di restaurazione cattolica dell'animo; perché ognuno analizzi sé stesso, comprenda d'essere immeritevole e si renda umile, abbracci la propria croce e cammini verso il suo personale ritorno alla Vita.

Sperando - peccando forse di presunzione - che le nostre parole possano spingervi a scegliere d'attraversare il vostro personale sacrificio.

                                                                              In Gesù per Maria

CHIARIMENTO SUL SIGNIFICATO DI "RIVOLUZIONE"



Nel nostro ambiente è molto diffuso il concetto di “rivoluzione”. E’ necessario, però, chiarire bene siffatto concetto, affinché non si cada in insidiosi equivoci semantici o ingenerare  confusioni ideologiche tali da rendere controproducente  ogni sforzo teso a dare un senso positivo alla propria battaglia.

In Forza Nuova, da principio, si distingue decisamente l’anima  cattolica. E per tale appunto , non ci si può imbattere a cuor leggero in definizioni che si pongano in oggettiva contraddizione rispetto alla dottrina della Chiesa.

Il significato di “Rivoluzione” per il Magistero Tradizionale Cattolico, e per la dottrina stessa, riveste un’accezione negativa. Esso indica un sovvertimento,  una “esplosione di orgoglio e di sensualità” (P. De Correa) che dà all’uomo la presunzione di poter astrarre da Dio,  rendersi avulso da tutto ciò che è legge naturale.

S’inizia, per l’appunto, dalla prima Rivoluzione, la rivolta antigerarchica  infiammata da Lutero contro la Chiesa (protestantesimo), dalla quale si dipana il filo rosso per altre successive tappe fondamentali per  quella che si configura come l’opera di liquidazione dell’ordine tradizionale, e cioè, la Rivoluzione Francese (illuminismo) e quella Comunista (marxismo).
Infine, il raggiungimento del gradino più basso del livello di degradazione umana: la Quarta Rivoluzione, con l’uomo ridotto al rango delle bestie, consumato dalle droghe, dai facili piaceri e dagli psicofarmaci, svuotato di ogni senso religioso ed identitario, rimbambito dal relativismo dilagante e dalle false opinioni.
Tutto dovrebbe culminare nel Mondialismo e nell’inveterato progetto massonico della Repubblica Universale sotto il governo dagli illuminati: gli emeriti e “naturali”  prosecutori della ribellione di Lucifero.

Appare ovvio che il termine “rivoluzione” per il forzanovista assuma un valore  semantico diametralmente opposto, se confrontato a quanto qui sopra delineato.
D’altronde,  se ad un’auspicata fase rivoluzionaria,  succede  come prospettiva  un’opera di Ricostruzione Nazionale (gli otto punti), allora il tutto acquisisce un senso compiuto.
Come quando  si deve estirpare un tumore, il procedimento dev’essere tale da non procurare danno ai tessuti contigui. La rivoluzione, alla medesima stregua, assumerebbe una valenza segnatamente positiva e chirurgica.
Quindi , l’idea giusta sarebbe quella di non sovvertire o far tabula rasa di tutto, ma salvare quanto vi sia di valido ancora (ammesso che vi sia!),  rimuovere  la parte deteriorata e ricondurre  il tutto ad un piano di normalità per il ristabilimento del primato  della legge naturale (Dio) nella società, e soprattutto, nell’uomo (conversione).  

L’etimologia deriva  dal latino ‘re-volvere’ che, guarda caso, attiene  proprio a tale ordine di idee.  In astronomia per rivoluzione viene inteso il moto che un corpo percorre intorno ad un altro per ritornare al punto di partenza. Moto ciclico o tuttalpiù ellittico. Il moto, appunto, di rivoluzione che la Terra e gli altri pianeti compiono attorno al loro astro, il Sole.

Ne deriva che  l’autentico significato di Rivoluzione dovrebbe implicare un ritorno all’origine: in chiave politica, ad  un recupero dei valori autentici cristiani (Regalità di Cristo) . E’ evidente che ciò non equivale a sottintendere l’avallo di una visione ciclica della storia umana. Si parla, in proposito, di un ricollocamento sui binari della retta linea provvidenziale.

Nella pubblicistica anti-giacobina sovente è stato l’uso  di termini come “restaurazione”, reazione” e soprattutto di “controrivoluzione”. In effetti,  ogni azione destinata a riportare tutto come prima si colloca in antitesi al processo rivoluzionario stesso. Specialmente se questo concorre a prodursi in un margine di tempo ristretto e immediato, nel quadro, propriamente, di una perentoria  re-azione: allora è legittimo parlare di  Controrivoluzione.
Basti pensare alla Vandea cattolica che comprese subito  il tranello camuffato ad arte dietro agli immortali principii dell’89. Altri esempi furono il sanfedismo meridionale e la “guerrilla” ispanica antinapoleonica.

Nel caso del Fascismo, la propaganda ufficiale declamava di “Rivoluzione delle Camicie Nere”. Ma di fatto anche qui sarebbe lecito parlare di "controrivoluzione". La forza d'urto creata dalla compagine mussoliniana si rivelò, infatti,  come l’anticorpo necessario in grado di bloccare anzitempo l’espandersi nel corpo sociale del veleno rivoluzionario che avrebbe fatto piombare l’Italia nel caos marxista e bolscevico.  Chiaramente lo scadimento del vocabolo procurato  dalla  cultura avversa (liberale e progressista) rese all'epoca alquanto inopportuno il proprio uso.
Quindi, letteralmente dicasi “rivoluzione”, ma seppur implicitamente, si tratta  sempre di una "controrivoluzione". Come d’altra parte gli stessi detrattori antifascisti non si attardarono a coniarlo col secondo termine, per ‘addobbare’ al meglio le loro false e pretestuose storiografie.      

 Senza indugiare in vacui machiavellismi concettuali e senza mostrarsi pavidi nell’esporre le proprie salde convinzioni,   il forzanovista deve saper distinguere e differenziare la sua reale disposizione d’animo (contro)rivoluzionaria, eludendo ogni cedimento verso le parole d’ordine maggiormente consone all’eterno Nemico.
Nel tempo in cui è perfino il salumiere di sotto casa ad invocare l’agognata rivoluzione, sarebbe importante adoperarsi per dare più vigore alla sostanza implicita racchiusa nella parola, invece che soffermarsi sul suo illusorio “nominalismo”.